lunedì 3 gennaio 2011

La piaga della sanità

C'è una cosa aberrante, al di là dell'ineluttabile consapevolezza che siamo destinati a morire, ed è la consapevolezza dell'indifferenza di chi ti deve curare. 
Anche solo cinquant'anni fa, quando la medicina era molto meno sviluppata di adesso, l'impossibilità materiale di fare qualcosa era un viatico per l'accettazione dell'ineluttabile. E specialmente  durante la vecchiaia, si guardava con un certo fatalismo al progredire delle malattie, al venir meno delle forze, come a qualcosa di scritto e immodificabile, su cui la scienza non poteva fare niente. Nemmeno lenire i dolori, perchè l'ampliamento dell'uso degli oppiodi come antidolorifici è piuttosto recente, essendo sottoposto a una legislazione farraginosa e che li equiparava all'uso di droghe.
Ma ogni epoca ha le sue convinzioni. E così, questa, ritiene di poter curare anche contro quello che una volta si riteneva un ineluttabile destino. Non è infrequente assistere ad operazioni chirurgiche anche in tarda età, e mi riferisco soprattutto non alla chirurgia d'urgenza ma a quelle operazioni che migliorano la qualità della vita, anche se solo per pochi anni.
La scienza prosegue, scopre, migliora le tecniche, impara dagli errori. 
Non così certa classe medica. O forse dovrei dire casta medica. Certa casta medica ha ancora un rapporto da superiore a inferiore con i pazienti e con i parenti dei pazienti inoltre, forse a causa della visione periodica di tanto dolore, ha acquisito una resistenza alla sofferenza altrui, che sconfina nella franca indifferenza.
E' quello che mi accade in questi giorni, nell'ospedale della mia città, Pesaro, nel quale è ricoverata mia madre. La vecchiaia, per costoro, è ragione sufficiente per ridurre al minimo l'umanità nei rapporti. Il loro modo di procedere è impersonale: si guardano le analisi e dove i parametri sono sballati si dispone la terapia. Il paziente è un fatto accidentale, potrebbe pure non esistere per loro, è un optional. Importante, per questa casta medica, è non essere presi in castagna con l'accusa di malpratica o negligenza: se poi il paziente soffre per le piaghe da decubito, se ha le braccia gonfie di fleboclisi, se è triste e avvilito, bè questo per loro è un fatto secondario. Quello che posso riferire della mia esperienza (tuttora in corso) è che il medico non ti cerca di certo, se non al momento del ricovero. Poi, per lui, puoi anche non esistere anzi, forse è meglio se non esisti, così non lo disturbi.
So benissimo che non si può estendere un caso singolo a tutta la classe medica, però alcuni fattori fanno pensare. Gli aneddoti si moltiplicano: i vicini di letto e i loro parenti portano le loro esperienze, così come amici e conoscenti, e sono quasi tutte negative nei confronti sia del reparto Medicina 1 dell'ospedale di Pesaro sia dell'ospedale in generale.
Perciò, per sapere se questa impressione negativa appartiene solo a me nei riguardi delle strutture sanitarie della mia città oppure anche ad altre realtà, vi chiedo di commentare con una vostra esperienza, anche, eventualmente, per disporre in tempo il ricovero in un altro ospedale.
Grazie.

13 commenti:

  1. Ciao Paopasc,
    Non mi sono edotta con sì tanta attualità. Ebbene no, non ho letto il post.
    Però lo farò.
    Voglio scriverti Tanti Auguri, si può?

    B

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  2. Scusa Paopasc, ho letto ora. Pensavo fosse un post di quelli che pubblichi ultimamente, di notizie varie. Scusami, era una cosa personale, invece, e io ci ho scherzato sopra, mi dispiace, ma non avevo capito.
    A me sembra che tutti gli ospedali si somiglino, da Nord a Sud, o forse è solo fortuna. Perciò non saprei consigliarti, tranne dirti di NON rassegnarti. Spostala, tua madre, se lì sta male. Provaci, vale sempre la pena.
    B

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  3. Non preoccuparti, B.
    Proverò a NON, visto che sembro preferirlo in tanti incipit.

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  4. Purtroppo non ti sbagli. Anche io in famiglia ho avuto un'esperienza simile alla tua, e le cose si complicano quando certamente hai una famiglia normale, di operai che non naviga nell'oro.

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  5. Forse è uno dei motivi, come già osservato da altri, del proliferare delle medicine alternative, molto basate sul lato umano. Ho come la sensazione che unendo alcune caratteristiche della medicina allopatica con quelle delle medicine alternative si otterrebbe un risultato migliore degli originali.
    In più, non ci si sofferma mai abbastanza sul ruolo dell'umanità nella guarigione.

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  6. Mi dispiace molto paopasc. Spero che tua madre si rimetta presto.

    Riporto qui la mia esperienza personale. Io cinque anni fa ho avuto una leucemia linfatica acuta con cromosoma filadelfia (una delle forme più aggressive di leucemia). Dopo tre mesi di chemio e radioterapia, il cui ultimo ciclo era definito ad alto dosaggio, ho subito un trapianto di cellule staminali. Il personale medico con cui ho avuto a che fare era molto qualificato. Mi hanno guarito e non mi stancherò mai di ringraziarli. Purtroppo non sempre quei medici avevano le qualità umane necessarie a supportare l'aspetto psicologico del paziente. Forse per incapacità o per problemi umani personali, molti medici seguono un'approccio troppo riduzionistico alla cura del malato. E cioè il malato non viene curato in quanto persona, ma in quanto sintomo, malattia, parte del corpo malata. Sia ben chiaro. Io penso la medicina tradizionale sia l'unica medicina in grado di curare con delle basi scientifiche. Però troppo spesso mancano ai medici quelle doti di cura della persona che prevedono l'ascolto ed il dialogo ad un livello che vada oltre l'asettica comunicazione di dati relativi alla malattia. Forse queste competenze dovrebbero essere in qualche modo incluse nella formazione dei medici. Credo che spesso sia proprio questa carenza a spingere purtroppo molte persone a rivolgersi alle cosiddette medicine o metodi alternativi che frequentemente si rivelano essere totalmente inutili se non dannosi.

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  7. Molto ben detto Dioniso. Grazie per il tuo apprezzato augurio. Che ti rigiro.
    Faccio solo una breve considerazione: cosa è meglio avere o più facile trovare?
    Medici
    indifferenti-capaci
    empatici-capaci
    indifferenti-incapaci
    empatici-incapaci
    So cosa sarebbe augurabile, ma forse indovino cosa ci tocca più spesso. La legge ci tutela sul versante capacità-incapacità. Come spesso accade, alcune questioni non possono essere sottoposte alla rigidità della Legge: esse sono fluide. E a volte basta veramente poco per fluidificarle.

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  8. Te lo faccio con il cuore.

    Ciò che è meglio avere è chiaro. Quello che è più facile trovare? È forse anche abbastanza chiaro. Io direi indifferenti-capaci, anche se non sarei totalmente sicuro.
    Nella mia quinquennale esperienza ho avuto il piacere di confontarmi con tutte e quattro le categorie in questa lingua così lontana da miei suoni che dopo 10 anni mi risulta ancora insidiosa e aspra.
    Nei mesi di cura in ospedale avevo eletto due delle dottoresse che mi seguivano ad emblemi di due delle categorie. Le chiamavo la Santa e la Stronza. Ovviamente il soprannome era basato su criteri di empatia.
    La Santa era sempre dolce e rassicurante, ma se doveva agire (biopsie, prelievi di midollo, infiltrazioni spinali) era una piaga d'Egitto. Soffrivi tu e soffriva lei. La Stronza invece sembrava mettercisi d'impegno per confermare il mio nomignolo. Ma quando mi dovevano praticare una delle suddette amenità pregavo che ci fosse lei.
    Nella categoria degli empatici-capaci posso annoverare due mie conoscenze: l'ematologa (ora mio medico di famiglia) che mi lesse la sentenza e il superspecialista Herr Professor che conduce una ricerca sperimentale sul mio tipo di leucemia e che tuttora segue il mio caso. La prima è molto competente e molto empatica (almeno con me). Riporto solo l'episodio in cui mi comunicò la prima diagnosi. Lo fece così bene che uscii da quell'ambulatorio sollevato e pieno di voglia di combattere. Il secondo è estremamente competente e la cosa che apprezzo molto è che mi tratta quasi come se fossi un suo collega. È difficile riuscire a parlargli perché è sempre impegnatissimo, ma quando riesco farlo mi dedica tutto il tempo che voglio rispondendo a qualsiasi domanda in modo molto onesto (distinguendo chiaramente tra sue supposizioni e fatti più scientifici).
    Forse gli indifferenti-incapaci sono abbastanza rari. Forse per una questione di selezione naturale. Tra i più incapaci che ho incontrato c'è il mio medico di famiglia di riserva (siccome i suoi tempi di attesa sono estremamente più brevi rispetto a quella brava, lo uso per cose banali). È stato capace di formulare una diagnosi sul mio mal di gola (rivelatasi ovviamente sbagliata) usando una torcetta con la lampadina che funzionava solo in posizione verticale. Però non posso dire che sia indifferente. Un po' scemo sì però....

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  9. Interessantissimo resoconto Dioniso.
    A volte, ragionando sulle cose, si scoprono delle cose. L'antipatia personale non è relegata al mondo medico. Puoi trovare un antipatico anche dal barbiere o dal salumiere. Una differenza può essere questa: nei casi in cui la controparte ha un interesse a mantenerti, modificherà in parte il suo atteggiamento, quando invece questo interesse personale non c'è, tutto è lasciato alla sua personalità.
    Alcune cose si possono imparare? altre si possono richiedere? La questione fondamentale, in quei luoghi, è la competenza, non ci sono dubbi, anche se magari non sempre sempre. L'altro lato, è la consapevolezza dei tuoi diritti di malato che, se non si possono ottenere per via empatica si devono avere per forza di legge.
    Ben più grama è la situazione della marcata inefficienza, dei danni iatrogeni e così via, crosta ancora difficile da scalfire.
    Ancora una volta, è dall'alto che viene la puzza: in questo senso la selezione di medici giovani, che portino freschezza e idealità, la selezione delle persone più aperte in luoghi di responsabilità, la formazione di strutture indipendenti per l'esercizio dei tuoi diritti, sono tutti presidi che formerebbero un diverso modo di pensare.
    Grazie Dioniso delle tue illuminanti considerazioni.

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  10. ...questi sono i post che non dovresti MAI essere costretto a scrivere e, che non vorresti MAI leggere...
    spero che vada tutto bene

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  11. E' proprio vero. Grazie delle tue parole, Joe...

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  12. Interessantissimo resoconto Dioniso.
    A volte, ragionando sulle cose, si scoprono delle cose. L'antipatia personale non è relegata al mondo medico. Puoi trovare un antipatico anche dal barbiere o dal salumiere. Una differenza può essere questa: nei casi in cui la controparte ha un interesse a mantenerti, modificherà in parte il suo atteggiamento, quando invece questo interesse personale non c'è, tutto è lasciato alla sua personalità.
    Alcune cose si possono imparare? altre si possono richiedere? La questione fondamentale, in quei luoghi, è la competenza, non ci sono dubbi, anche se magari non sempre sempre. L'altro lato, è la consapevolezza dei tuoi diritti di malato che, se non si possono ottenere per via empatica si devono avere per forza di legge.
    Ben più grama è la situazione della marcata inefficienza, dei danni iatrogeni e così via, crosta ancora difficile da scalfire.
    Ancora una volta, è dall'alto che viene la puzza: in questo senso la selezione di medici giovani, che portino freschezza e idealità, la selezione delle persone più aperte in luoghi di responsabilità, la formazione di strutture indipendenti per l'esercizio dei tuoi diritti, sono tutti presidi che formerebbero un diverso modo di pensare.
    Grazie Dioniso delle tue illuminanti considerazioni.

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  13. Mi dispiace molto paopasc. Spero che tua madre si rimetta presto.

    Riporto qui la mia esperienza personale. Io cinque anni fa ho avuto una leucemia linfatica acuta con cromosoma filadelfia (una delle forme più aggressive di leucemia). Dopo tre mesi di chemio e radioterapia, il cui ultimo ciclo era definito ad alto dosaggio, ho subito un trapianto di cellule staminali. Il personale medico con cui ho avuto a che fare era molto qualificato. Mi hanno guarito e non mi stancherò mai di ringraziarli. Purtroppo non sempre quei medici avevano le qualità umane necessarie a supportare l'aspetto psicologico del paziente. Forse per incapacità o per problemi umani personali, molti medici seguono un'approccio troppo riduzionistico alla cura del malato. E cioè il malato non viene curato in quanto persona, ma in quanto sintomo, malattia, parte del corpo malata. Sia ben chiaro. Io penso la medicina tradizionale sia l'unica medicina in grado di curare con delle basi scientifiche. Però troppo spesso mancano ai medici quelle doti di cura della persona che prevedono l'ascolto ed il dialogo ad un livello che vada oltre l'asettica comunicazione di dati relativi alla malattia. Forse queste competenze dovrebbero essere in qualche modo incluse nella formazione dei medici. Credo che spesso sia proprio questa carenza a spingere purtroppo molte persone a rivolgersi alle cosiddette medicine o metodi alternativi che frequentemente si rivelano essere totalmente inutili se non dannosi.

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