lunedì 18 marzo 2013

Annunziata, Alfano, gli impresentabili e il voto come sentenza di una giuria popolare

Durante la trasmissione in Mezz'ora  a un certo punto Angelino Alfano fa una domanda a Lucia Annunziata che vorrebbe essere retorica ma alla quale invece Annunziata risponde. Apriti cielo!
"Ma scusi eh, la Merkel quando è successo in Germania l'ha fatto, perchè Bersani non ha il coraggio di fare un gesto di questo genere [cioè una grande coalizione]?"
"Forse perchè voi siete impresentabili" 
A questo punto parte un po' di gazzarra, neanche più di tanto in verità, a suon di ma come si permette e finali scuse sulla franchezza, ma non sulla valutazione. Il nucleo del discorso, secondo Alfano,  è questo: definendo impresentabili i membri del PdL si fa un torto e si disprezzano  tutti quegli elettori che li hanno votati. Il che è giusto. Ogni persona che può candidarsi a una carica pubblica e viene votata ha piena legittimità di ricoprire quella carica. La premessa racchiusa in quel può, prevista del resto dalla legge che impone anche la decadenza dalla carica  in seguito a condanna definitiva,  è il discrimine tra presentabili e impresentabili. 

Anche se l'accento dell'impresentabilità cade sul corteo organizzato dal PdL di fronte, e contro, il Tribunale di Milano, quell'accento ha valore solo se riferito a quanto previsto dalla legge. Per quanto attiene a quella sorta di pubblica richiesta o voce dell'opinione pubblica che vorrebbe fossero candidate solo persone che non hanno mai avuto a che fare con la giustizia e sulle quali non vi sono pesanti sospetti, non ha valore di legge, e vale solo come pio desiderio. Se si eccepiscono le condizioni elencate  sopra, per quanto possa starci antipatico, un candidato votato dal popolo è perfettamente legittimato a esercitare il suo mandato.

Per fare un esempio, se la legge prevede una condanna in via definitiva e un candidato ne ha subita una in primo e una in  secondo grado, per la legge può ancora candidarsi ed essere eletto ma per l'opinione pubblica probabilmente è un impresentabile.





L'importante è che non si confonda la legittimità data dal voto popolare con l'assoluzione (data dal voto popolare). La legittimità data dal voto popolare vale solo se sono presenti i requisiti elencati sopra, in carenza dei quali nemmeno il voto legittima alcunchè (si pensi, per esempio, a un candidato condannato con sentenza passata in giudicato in cui la condanna definitiva sopraggiunga durante il mandato: decade dalla sua carica).
Ma se la legge prevede che tu possa essere candidato ed eletto con due condanne, per la legge puoi candidarti ed essere eletto, anche se per l'opinione pubblica non sei presentabile.
Quanto alle interpretazioni e argomentazioni che alle volte sembrano prefigurare il voto popolare alla stregua della sentenza di una giuria popolare, ritengo che siano illazioni prive di fondamento. Solo in riferimento all'ineleggibilità, riguardante il caso dell'esercizio di due o più cariche pubbliche, il Parlamento può decidere a quale assegnare o se assegnare a entrambe, anche se la Corte Costituzionale ha espresso parere contrario [si veda Ineleggibilità parlamentare, it.wikipedia], ma dubito che si possa andare contro la legge legittimando un parlamentare condannato con sentenza passata in giudicato.
Infine, se si vuole che anche il condannato in primo grado non sia candidabile basta scrivere una legge in tal senso, venendo incontro a quella che è sicuramente una pressante richiesta dell'opinione pubblica.


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